Ciao Amici,
Mi ricordo bene quando ho iniziato le superiori.
Ero un bravo ragazzino. Tranquillo, studioso, nessun problema alle medie, sempre ottimi voti. In una parola spensierato.
Avevo appena iniziato il liceo classico, quarta ginnasio ad Alessandria. All’epoca (non so se sia ancora così) c’era un’unica insegnante che insegnava praticamente tutto, tranne inglese.
La mia era… difficile. Anzi, no: era una stronza. E non lo dico con leggerezza, ma con il senno dell’adulto.
Era una persona amara, acida, probabilmente infelice, e sfogava la sua frustrazione su di noi. Ragazzini di 14 anni.
Un giorno, in mezzo a tanti episodi che poi mi portarono a cambiare scuola e città, successe questo:
Io ero solito dire “un attimino”. Niente di strano, lo diciamo in tanti.
Lei mi fermò, davanti a tutti, e con tono sprezzante mi disse:
“Ma ti rendi conto di quanto sei stupido a dire un attimino? Non esiste niente più piccolo di un attimo.”
Umiliazione pubblica.
Da quel giorno — e non sto esagerando — per vent’anni non ho più detto “un attimino”.
Ogni volta che qualcuno lo diceva, tornavo lì, a quell’aula. E mi rivedevo.
È grazie ad Arianna se ho ricominciato a dirlo. Può sembrare una cosa da niente, una sciocchezza. Ma per me è stata una conquista enorme.
Oggi quindi lo dico. Lo dico con fierezza. Un attimino.
E grazie a quell’episodio, oggi alla soglia dei 40, ho capito due cose fondamentali:
Sono i momenti difficili a far emergere chi siamo davvero.
Quell’età, l’adolescenza, è fragile. Una parola sbagliata può lasciare un’ombra lunga anni. Ci sono stati momenti, in quell’età, che ancora oggi ricordo come tra i più bui della mia vita. Coincisi anche con problemi familiari.
E molto di quel buio è stato seminato da adulti incapaci di vedere quanto potere avessero le loro parole in un’età così delicata.
Ci ho fatto pace, con quel periodo.
E ho capito che, se oggi sono chi sono, e se sono emersi certi miei talenti, è anche grazie a quei momenti lì. (Che sì, mi sarei risparmiato volentieri)
Ma sono stati proprio quei momenti difficili a costringermi a tirare fuori le parti migliori di me.
Il giudizio degli altri non conta.
Come vi ho già detto tante volte, il giudizio degli altri parla soprattutto di loro. Non di te.
Chi ti ferisce, spesso sta solo riversando su di te una rabbia che non sa dove mettere. E allora l’importante è fottersene.
Oppure — quando necessario — restituire la stessa moneta. Perché il rispetto si pretende, non si prega.
Quello che vi auguro in questa domenica è di diventare, se non lo siete già, il più indipendenti possibile.
Nel pensiero, nelle emozioni, nelle parole.
E di ripetere tutte le volte che volete:
un attimino.
Perché, a volte, è proprio quello che ci serve.
Un attimino.
Per trovare (o ritrovare) noi stessi.
Un abbraccio,
G.
P.S. Se hai avuto momenti difficili che ti hanno poi trasformato, e hai voglia di parlarne, mandami una mail. Leggo i vostri messaggi sempre con piacere.